Pasolini contro il consumismo: il nuovo Potere che inganna il popolo

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Pasolini contro il consumismo:  il nuovo Potere che inganna il popolo

Negli anni ’50 e ’60 in Italia ci fu un importante e rapido sviluppo economico, il cosiddetto boom, che coinvolse maggiormente il settore industriale a discapito di quello agricolo, che fino a quel momento aveva caratterizzato l’economia del paese. Questa espansione, a differenze di altri stati come l’Inghilterra e la Germania, si concentrò in pochi decenni e stravolse il tessuto sociale: molti contadini diventarono operai, e ci fu un forte spostamento non solo dalle campagne alle città e periferie ma anche dal Sud verso il Nord.

Fu un vero e proprio momento di rinascita del paese, aumentarono i redditi delle famiglie e di conseguenza migliorarono gli stili di vita. Gli anni ’70 possono essere ricordati anche come un periodo d’oro per la rivendicazione dei diritti civili, furono promulgate leggi, attraverso la votazione di referendum, sul divorzio e sull’aborto. La società stava cambiando e questi cambiamenti erano visti in maniera positiva. C’era però una voce, un’unica voce che si ergeva in modo rabbioso, polemico e discordante tra le altre, anche tra quelle degli intellettuali presenti nello scenario di quegli anni. Una voce dura, lucida, prorompente, dissacrante: la voce di Pier Paolo Pasolini.

Il cambiamento degli italiani

Secondo Pasolini gli italiani si erano fatti fregare dal nuovo sistema fondato sul consumismo. Era convinto che le masse, in cambio di pseudo libertà – come per l’appunto la possibilità di divorziare e di abortire, la possibilità di avere uno stile di vita migliore, di poter comprare più beni e di poter studiare – si fossero vendute al nuovo potere, che definiva totalitario, una nuova forma di fascismo.[1]

«Conosco anche – perché le vedo e le vivo – alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo “Sviluppo”: produrre e consumare.

L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti “moderni”, dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente: ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una “mutazione” della classe dominante, è in realtà – se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma “totale” di fascismo. Ma questo Potere ha anche “omologato” culturalmente l’Italia: si tratta dunque di una omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre».[2]

La società italiana si ritrova ad affrontare un enorme cambiamento senza averne gli strumenti e senza avere il tempo per metabolizzare la nuova situazione. Pasolini vede in tutto questo la causa della nascita di una nevrosi collettiva verso il consumo smodato e soprattutto la causa della disgregazione della cultura contadina e in particolare dei valori arcaici che erano insiti nella sua struttura.[3] Individua, come problema, la creazione di nuovi modelli culturali che possano sostituire quelli precedenti e quindi le persone si ritrovano senza validi punti di riferimento. Definisce questo cambiamento una vera e propria «mutazione antropologica»[4] ma la considera in senso negativo, non si riconosce più nel popolo italiano, che vede abbruttito. Un abbruttimento che non è solo a livello di valori, dove primeggiano l’egoismo e l’edonismo, ma anche fisico del paese: le campagne si erano trasformate da simboli di vita arcaica in cartoline di luoghi di villeggiatura mentre le periferie venivano deturpate da enormi palazzoni.[5]

«Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane».[6]

Così Pasolini individua nel nuovo mezzo di comunicazione della televisione, uno dei maggiori responsabili della divulgazione dei nuovi valori e del potere del consumismo con la conseguente omologazione della cultura.

Per questo desidera che le masse si rendano conto di quello che sta accadendo, vuole scuotere le coscienze, rendere consapevole il popolo, e per raggiungere questo obiettivo utilizza i generi più diversi, dalla poesia alla narrativa, dalla saggistica agli innumerevoli articoli scritti per le più diverse testate giornalistiche, dai testi teatrali alla produzione di film. Cerca di raggiungere un pubblico sempre più vasto.[7] E per farsi ascoltare, per focalizzare il dibattito su questi temi idealizza consapevolmente quel mondo contadino da lui tanto amato nell’adolescenza, lo mitizza in narrazioni che rasentano l’apologia, estremizzando i lati positivi, senza mai fare un accenno alle problematiche di quella cultura, di quella classe.[8] In questo modo vuole che i lettori si convincano che quella cultura era meglio di quella in cui stanno vivendo, che era più libera, perché il nuovo potere è opprimente, più opprimente del fascismo, perché strisciante.

Pasolini contro l’omologazione

Se prima la società era divisa in classi sociali ora il neocapitalismo, con l’omologazione, ne ha creata una nuova e tutta la popolazione cerca di appartenervi. Si insinua così la paura di essere esclusi perché l’accettazione è legata al possesso di determinati beni. Per questo Pasolini è convinto che nella società contadina le persone fossero più libere:

«Per esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con un certo disprezzo spavaldo i “figli di papà”, i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. Adesso, al contrario, essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno abiurato dal proprio modello culturale (i giovanissimi non lo ricordano neanche più, l’hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l’analfabetismo e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari – umiliati – cancellano nella loro carta d’identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di “studente”. Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che essi hanno subito acquisito per mimesi)».[1]

Se prima, il figlio di contadini non si vergognava di essere povero e ignorante, ora per lui diventava un problema e quando non riesce a farsi accettare dalla nuova società, il senso di frustrazione si trasforma in aggressività e criminalità.

Una nuova e diversa modernizzazione

Pasolini però non è un reazionario, la sua veemenza non è contro il progresso in generale, ma contro la reazione della società italiana che non è pronta ad affrontare il cambiamento e non rendendosene conto si fa travolgere dalle facili soddisfazioni del consumismo. A questo processo, conseguente al progresso tecnologico, non era seguito un progresso culturale delle masse. Lo scrittore è per un nuovo tipo di modernizzazione, non certamente per un ritorno anacronistico del passato.[2] «Vorrei che i miei attuali contraddittori di sinistra comprendessero che io sono in grado di rendermi conto che, nel caso che lo Sviluppo subisse un arresto e si

avesse una recessione, se i Partiti di Sinistra non appoggiassero il Potere vigente, l’Italia semplicemente si sfascerebbe; se invece lo Sviluppo continuasse così com’è cominciato, sarebbe indubbiamente realistico il cosiddetto “compromesso storico”, unico modo per cercare di correggere quello Sviluppo, nel senso indicato da Berlinguer nel suo rapporto al cc del partito comunista (cfr. “l’Unità”, 4-6-1974)».[3]

Pasolini, costruendo queste sue teorie su uno studio approfondito della storia, indagando principalmente i fatti[4] aveva letto le problematiche della trasformazione delle società in anticipo, capendone i possibili risvolti negativi. In particolare, era preoccupato della totale integrazione delle masse al potere.[5] Soprattutto nei confronti dei giovani perché per loro stava scomparendo ogni possibilità di ribellione: il nuovo sistema aveva la capacità di trasformare anche i simboli di ribellione in mode, come per esempio nel caso dei capelli lunghi, che si trasformano in divisa. Come spiega bene nell’articolo del «Corriere della Sera», Contro i capelli lunghi: «Cosa dicevano, col linguaggio inarticolato consistente nel segno monolitico dei capelli, i capelloni nel ’66-’67? Dicevano questo: “La civiltà consumistica ci ha nauseati. Noi protestiamo in modo radicale. Creiamo un anticorpo a tale civiltà, attraverso il rifiuto. Tutto pareva andare per il meglio, eh? La nostra generazione doveva essere una generazione di integrati? Ed ecco invece come si mettono in realtà le cose. Noi opponiamo la follia a un destino di ‘executives’. Creiamo nuovi valori religiosi nell’entropia borghese, proprio nel momento in cui stava diventando perfettamente laica ed edonistica. Lo facciamo con un clamore e una violenza rivoluzionaria (violenza di non-violenti!) perché la nostra critica verso la nostra società è totale e intransigente” […] I capelloni si erano enormemente diffusi: benché non fossero ancora numericamente la maggioranza, lo erano però per il peso ideologico che essi avevano assunto. Ora i capelloni non erano più silenziosi: non delegavano al sistema segnico dei loro capelli la loro intera capacità comunicativa ed espressiva. Al contrario, la presenza fisica dei capelli era, in certo modo, declassata a funzione distintiva».[6]

Così anche i giovani e i movimenti della fine anni ’60 furono annullati e omologati in nome della mercificazione.

Pasolini oggi

Non si può negare che Pasolini per quanto susciti, ancora oggi, pareri discordanti per le sue idee, le modalità in cui le espresse, per i suoi toni polemici, sia riuscito a interpretare il suo tempo e il tempo a venire, quello che stiamo vivendo oggi a 45 anni dalla sua morte. Come sottolinea lo psicoterapeuta Recalcati, in un’intervista alla rivista Vita.it: «Il nostro tempo è un tempo senza memoria e questo è un aspetto colto a fondo dall’opera di Pasolini. Proprio perché il discorso del capitalista sostiene il culto della nuova sensazione, la sensazione distrugge l’esperienza e, quindi, rende impossibile la memoria. In Pasolini, proprio per la consapevolezza della posta in gioco, c’è un’attenzione costante, un tentativo costante di lavorare su memoria e passato».[7]

Senza mai cedere ai conformismi di qualsiasi tipo, senza mai adeguarsi alle regole istituzionali, Pasolini era riuscito a disegnare un ritratto dell’Italia intenso e fervido, che col tempo è diventato sempre più reale.[8] Rileggere oggi le opere di Pasolini e, in particolare, gli articoli giornalistici può essere un valido aiuto per codificare i tempi in cui viviamo, permettendoci di osservarli da un’ottica distaccata e lucida, più che mai attuale, nella speranza che non sia troppo tardi per trovare un nuovo modo di modernizzazione, tanto desiderato dall’“eretico corsaro”.

Chiara Gradassi


[1] «Lettere aperte». La solitudine del poeta davanti al giornalista. Annotazioni sulle interviste di Gideon Bachman a Pier Paolo Pasolini, Roberto Chiesa https://www.lettereaperte.net/ausgaben/ausgabe-52018/la-solitudine-del-poeta-davanti-al-giornalista-annotazioni-sulle-interviste-di-gideon-bachmann-a-pier-paolo-pasolini

[2] Pasolini P.P., Scritti Corsari, articolo Il potere senza volto, Milano, Garzanti editore, 2015

[3] «Il lavoro culturale», Pasolini contro il potere. Il potere contro Pasolini, Roberto Ciccarelli, https://www.lavoroculturale.org/pasolini-potere/

[4] P.P. Pasolini, Scritti corsari, articolo Gli italiani non sono più quelli, Milano, Garzanti editore, 2015

[5] Picaro Federica, Un tema su Pier Paolo Pasolini, edizioni l’Universale (e-book)

[6] Pasolini P.P., Scritti corsari, articolo Sfida ai dirigenti della televisione, Milano, Garzanti editore, 2015

[7] AA.VV, Letteratura, collana Le Garzantine, Milano, Casa editrice Garzanti, 2007

[8] Città Pasolini, Calvino e Pasolini. Una polemica letteraria https://www.cittapasolini.com/post/calvino-e-pasolini

[1] Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, articolo Sfida ai dirigenti della televisione, Milano, Garzanti editore, 2015

[2] «Frammenti Rivista», Inattuale e sempre attuale: Pier Paolo Pasolini e la critica alla modernità, Castelnovo M., https://www.frammentirivista.it/inattuale-e-sempre-attuale-pier-paolo-pasolini-e-la-critica-alla-modernita/

[3] P.P. Pasolini, Scritti corsari, articolo Il potere senza volto, Milano, Garzanti editore, 2015

[4] «900letterario», Scritti corsari, i pensieri di Pasolini, Cuomo A., https://www.900letterario.it/autori-di-successo/scritti-corsari-pensieri-pasolini/

[5] Vita.it, Recalcati: «Il nostro tempo è un tempo senza memoria, Pasolini lo aveva capito», Dotti M., http://www.vita.it/it/article/2017/06/07/recalcati-il-nostro-e-un-tempo-senza-memoria-pasolini-lo-aveva-capito/143650/

[6] Pasolini P.P., Scritti corsasi, articolo Contro i capelli lunghi, Milano, Garzanti editore, 2015

[7] Vita.it, Recalcati: «Il nostro tempo è un tempo senza memoria, Pasolini lo aveva capito», Dotti M., http://www.vita.it/it/article/2017/06/07/recalcati-il-nostro-e-un-tempo-senza-memoria-pasolini-lo-aveva-capito/143650/

[8] Ferroni G., Storia della letteratura italiana. Il Novecento e il nuovo millennio, Milano, Editore Mondadori università, collana Manuali, 2012

 

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